giovedì 28 marzo 2013

LIBERTÀ D'INFORMAZIONE


fonte: www.giornalistiminacciati.it 
L’Italia è uno stato democratico e come tale garantisce i diritti umani fondamentali. Tra questi la libertà di informazione. Ma quanto si può definire libera l’informazione in un Paese dove praticamente ogni giorno un giornalista viene minacciato perché prova a fare il suo lavoro? Dove affonda le radici un dato così allarmante, e quali sono le sue dimensioni effettive? In Italia esiste senza dubbio il pluralismo dell’informazione, ma la sua libertà è davvero garantita?

Molti dei 324 giornalisti minacciati nel solo 2012 sono giovani, precari, forzatamente indipendenti. Un sistema che non è in grado di tutelare professionalmente i giornalisti non può certo tutelarne l’incolumità, a fronte di intimidazioni usate anche come strumento di censura preventiva.

Ma la luce del sole può agire da disinfettante per questa piaga dell’informazione, favorendo una risposta consapevole e collettiva a intimidazioni che piovono tanto sotto forma di lettera minatoria per mano di sgherri locali, quanto sotto forma di querela a firma di rispettabili avvocati. E in più aggressioni, incendi, danneggiamenti.

Una risposta, dunque, che richiede la presa di coscienza e l’intervento deciso di tutti gli attori responsabili, non sempre all’altezza di ruoli e aspettative: dalle istituzioni giornalistiche a quelle dello stato, dalla politica alla società civile, passando per gli stessi operatori dell’informazione. 

Il fenomeno dei giornalisti minacciati è da anni attentamente monitorato dall’osservatorio Ossigeno per l’Informazione, che nei suoi rapporti annuali ha efficacemente tratteggiato i contorni di un quadro dai molti lati oscuri, insidioso, complesso, ignorato. Un iceberg la cui parte sommersa è difficile definire, “perché una delle finalità di chi intimidisce i giornalisti è proprio quella di nascondere all’opinione pubblica queste violenze e questi abusi, che perderebbero efficacia se fossero conosciuti”.

Storie di Giornalisti Minacciati è il tentativo di dare maggior voce al lavoro di Ossigeno, scattando una fotografia in movimento del fenomeno, e diffondendola attraverso una narrazione che fa dell’elemento partecipativo la sua naturale sintassi. 
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