Farà molto discutere il decreto del 24 ottobre scorso emesso dal Tribunale di Varese riguardante l'applicazione del diritto alla sessualità....
Il Caso:
La tutrice di una persona ha denunciato al Giudice Tutelare di Varese che la sorella (interdetta)avrebbe riferito di avere consumato rapporti sessuali completi con tale A., amico del fratello della badante. I rapporti sessuali sarebbero stati diversi ma avvenuti senza violenza e con il consenso della interdetta stessa.
La tutrice ha poi ottenuto, da parte della sorella interdetta, la promessa di astenersi dall’avere ulteriori incontri con A.
La decisone del Giudice
La persona interdetta è affetta da uno sviluppo mentale ritardato e irregolare con deficit cognitivo (...).
Nessuna norma del codice, tuttavia, regolamenta (o prova a regolamentare) la sessualità della persona interdetta. Giova ricordare che il diritto alla sessualità trova spazio in seno all’art. 2 della Costituzione (Cass. civ., Sez. I, 10 maggio 2005, n. 9801 in Giur. It., 2006, 4, 691) ed è oggi inquadrato nell’ambito dei diritti fondamentali della Persona, con substrato inviolabile (v. Cass. civ., Sez. III, 2 febbraio 2007, n. 2311 in Danno e Resp., 2007, 5, 589). L’inviolabilità della sfera intima discende (pure) dall’essere la sessualità il luogo in cui ciascuno compendia il diritto di realizzare, nella vita di relazione, la propria identità sessuale, da ritenere aspetto e fattore di svolgimento della personalità (Corte cost., sentenza 24 maggio 1985 n. 161). Essendo la sessualità uno degli essenziali modi di espressione della persona umana, il diritto di disporne liberamente è, quindi, “senza dubbio un diritto soggettivo assoluto, che va ricompreso tra le posizioni soggettive direttamente tutelate dalla Costituzione ed inquadrato tra i diritti inviolabili della persona umana che l'art. 2 Cost. impone di garantire”(Corte cost., sentenza 18 dicembre 1987 n. 561).
Condividendo i rilievi di altri giudici di merito, va, poi, ricordato che, almeno dalla riforma dei delitti sessuali del 1996, il Legislatore ha voluto riconoscere il diritto alla affettività e alla sessualità anche “alle persone affette da minorazione fisica o psichica” (v. Trib. Brescia, ordinanza 17 febbraio 2010). Riconoscimento che la Legislazione contemporanea più recente ha amplificato e ribadito. E’ sufficiente far riferimento alla Convenzione sui diritti delle persone con disabilità, fatta a New York il 13 dicembre 2006, e ratificata dall’Italia per effetto degli artt. 1 e 2 della legge 3 marzo 2009 n. 18. Il trattato in esame riconosce espressamente (lett. n del preambolo) “l’importanza per le persone con disabilità della loro autonomia ed indipendenza individuale, compresa la libertà di compiere le proprie scelte” (...).
Ciò vuol dire che la protezione del soggetto vulnerabile non può tradursi in un “esproprio” dei suoi diritti, anche là dove l’esigenza di tutela non sia ravvisabile (es. testamento: 591 c.c.; matrimonio: 85 c.c.; etc.) oppure ancora si tratti di un contesto in cui trovano respiro i Diritti inviolabili.
Anche l’interdetto, insomma, conserva il suo Diritto inviolabile a fruire e vivere delle situazioni giuridiche soggettive a copertura costituzionale, (...).
La tutrice di una persona ha denunciato al Giudice Tutelare di Varese che la sorella (interdetta)avrebbe riferito di avere consumato rapporti sessuali completi con tale A., amico del fratello della badante. I rapporti sessuali sarebbero stati diversi ma avvenuti senza violenza e con il consenso della interdetta stessa.
La tutrice ha poi ottenuto, da parte della sorella interdetta, la promessa di astenersi dall’avere ulteriori incontri con A.
La decisone del Giudice
La persona interdetta è affetta da uno sviluppo mentale ritardato e irregolare con deficit cognitivo (...).
Nessuna norma del codice, tuttavia, regolamenta (o prova a regolamentare) la sessualità della persona interdetta. Giova ricordare che il diritto alla sessualità trova spazio in seno all’art. 2 della Costituzione (Cass. civ., Sez. I, 10 maggio 2005, n. 9801 in Giur. It., 2006, 4, 691) ed è oggi inquadrato nell’ambito dei diritti fondamentali della Persona, con substrato inviolabile (v. Cass. civ., Sez. III, 2 febbraio 2007, n. 2311 in Danno e Resp., 2007, 5, 589). L’inviolabilità della sfera intima discende (pure) dall’essere la sessualità il luogo in cui ciascuno compendia il diritto di realizzare, nella vita di relazione, la propria identità sessuale, da ritenere aspetto e fattore di svolgimento della personalità (Corte cost., sentenza 24 maggio 1985 n. 161). Essendo la sessualità uno degli essenziali modi di espressione della persona umana, il diritto di disporne liberamente è, quindi, “senza dubbio un diritto soggettivo assoluto, che va ricompreso tra le posizioni soggettive direttamente tutelate dalla Costituzione ed inquadrato tra i diritti inviolabili della persona umana che l'art. 2 Cost. impone di garantire”(Corte cost., sentenza 18 dicembre 1987 n. 561).
Condividendo i rilievi di altri giudici di merito, va, poi, ricordato che, almeno dalla riforma dei delitti sessuali del 1996, il Legislatore ha voluto riconoscere il diritto alla affettività e alla sessualità anche “alle persone affette da minorazione fisica o psichica” (v. Trib. Brescia, ordinanza 17 febbraio 2010). Riconoscimento che la Legislazione contemporanea più recente ha amplificato e ribadito. E’ sufficiente far riferimento alla Convenzione sui diritti delle persone con disabilità, fatta a New York il 13 dicembre 2006, e ratificata dall’Italia per effetto degli artt. 1 e 2 della legge 3 marzo 2009 n. 18. Il trattato in esame riconosce espressamente (lett. n del preambolo) “l’importanza per le persone con disabilità della loro autonomia ed indipendenza individuale, compresa la libertà di compiere le proprie scelte” (...).
Ciò vuol dire che la protezione del soggetto vulnerabile non può tradursi in un “esproprio” dei suoi diritti, anche là dove l’esigenza di tutela non sia ravvisabile (es. testamento: 591 c.c.; matrimonio: 85 c.c.; etc.) oppure ancora si tratti di un contesto in cui trovano respiro i Diritti inviolabili.
Anche l’interdetto, insomma, conserva il suo Diritto inviolabile a fruire e vivere delle situazioni giuridiche soggettive a copertura costituzionale, (...).
Ovvio che, come insegna la Dottrina, non c’è diritto senza il suo esercizio.
La questione problematica si manifesta agli occhi dell’interprete, allora, sotto altro angolo prospettico: non è (e non può essere) in questione il diritto del disabile alla sessualità (an della situazione giuridica soggettiva), ma può venirne in rilievo il suo concreto esercizio, nel senso che potrebbe risultare che la sessualità non è consapevolmente vissuta dall’interdetto il quale non è “Soggetto” della situazione sessuale ma “oggetto”. Ecco, in questo caso (e solo in questo caso) sono ipotizzabili delle misure di intervento: tramite il coinvolgimento dell’Autorità penale, l’allontanamento (con gli strumenti di Legge) delle persone che “mercificano” la sessualità dell’incapace, l’adozione di strumenti di monitoraggio e sostegno (tramite il Consultorio o i Servizi sociali e un supporto psicologico o psicoterapeutico). (...)
Alla luce dei rilievi che precedono, non sussiste alcun potere del G.T. in ordine alla sessualità della persona interdetta e, dinanzi ai rilievi del tutore, è solo possibile – in assenza di comportamenti che evidenzino oggettivamente un “problema” (ad es. abuso, sfruttamento, violenza) – svolgere accertamenti di minima invasività per verificare le condizioni di benessere psico-fisico della persona interdetta.
(....)"
Il succo è quindi che il diritto alla sessualità è un diritto inviolabile, tutelato dalla Costituzione, da riconoscere anche alle persone adulte con disabilità psichiche, non potendosi la misura della interdizione tradursi in un “esproprio” dei diritti fondamentali dell’individuo. Il Giudice tutelare può, invece, intervenire dove accerti che la sessualità è vissuta dall’interdetto non come soggetto ma come “oggetto”, nel senso, cioè, che vi sia il rischio di violenze, abusi o sfruttamento della situazione di vulnerabilità.
La questione problematica si manifesta agli occhi dell’interprete, allora, sotto altro angolo prospettico: non è (e non può essere) in questione il diritto del disabile alla sessualità (an della situazione giuridica soggettiva), ma può venirne in rilievo il suo concreto esercizio, nel senso che potrebbe risultare che la sessualità non è consapevolmente vissuta dall’interdetto il quale non è “Soggetto” della situazione sessuale ma “oggetto”. Ecco, in questo caso (e solo in questo caso) sono ipotizzabili delle misure di intervento: tramite il coinvolgimento dell’Autorità penale, l’allontanamento (con gli strumenti di Legge) delle persone che “mercificano” la sessualità dell’incapace, l’adozione di strumenti di monitoraggio e sostegno (tramite il Consultorio o i Servizi sociali e un supporto psicologico o psicoterapeutico). (...)
Alla luce dei rilievi che precedono, non sussiste alcun potere del G.T. in ordine alla sessualità della persona interdetta e, dinanzi ai rilievi del tutore, è solo possibile – in assenza di comportamenti che evidenzino oggettivamente un “problema” (ad es. abuso, sfruttamento, violenza) – svolgere accertamenti di minima invasività per verificare le condizioni di benessere psico-fisico della persona interdetta.
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Il succo è quindi che il diritto alla sessualità è un diritto inviolabile, tutelato dalla Costituzione, da riconoscere anche alle persone adulte con disabilità psichiche, non potendosi la misura della interdizione tradursi in un “esproprio” dei diritti fondamentali dell’individuo. Il Giudice tutelare può, invece, intervenire dove accerti che la sessualità è vissuta dall’interdetto non come soggetto ma come “oggetto”, nel senso, cioè, che vi sia il rischio di violenze, abusi o sfruttamento della situazione di vulnerabilità.
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