lunedì 20 gennaio 2014

NECCO DA SCALEA.....STA PER TORNARE.

Quando sentiamo parlare di brigantaggio affiora alla mente immediatamente quel fenomeno, sviluppatosi prevalentemente nel mezzogiorno d’Italia durante il XVIII secolo e il primo decennio successivo alla proclamazione del Regno d'Italia, caratterizzato dal dilagare di quella forma di banditismo dedita ad azioni violente a scopo di rapina ed estorsione e che in alcune circostanze velava risvolti insurrezionalisti a sfondo politico e sociale. In realtà, il brigantaggio è spesso e troppo facilmente scambiato per delinquenza comune, mentre si tralascia che il brigante nasce come soggetto che reagisce al disagio economico e sociale del tempo in contrapposizione allo strapotere sempre maggiore di quei “galantuomini”, per dirla con le parole di Vincenzo Padula, prete di Acri, nato nel 1819 e morto nel 1893, “la cui crescente fortuna è un mistero; che spendono e spandono, e vivono in ozio, e il cui borsellino per opera virtù dello Spirito Santo sta sempre pieno”. La definizione più corretta di brigante, invece, la fornisce lo storico inglese Eric. J. Hobsbawm. Egli scrive che “il brigante è un individuo che si rifiuta di piegare la schiena. Tutto qui”. E poi aggiunge: “il ladro, il bandito, il brigante non cominciano la carriera di fuorilegge con un delitto, ma come vittime di un'ingiustizia”. E’ l'ingiustizia dei galantuomini, dunque, a far trasformare in brigante il giovane contadino o il solitario pastore della Calabria. La parola “brigante” nasce dall’idioma francese “brigant” che significa delinquente, bandito, a indicare quella parte di popolo ancora fedele ai Borbone che si ribellava al massacro messo in opera dai Piemontesi. Molti dei “galantuomini” di cui sopra erano invece coloro che divennero antiborbonici pur di non essere disturbati nei loro averi. Il Piemonte viveva in quel periodo una fase di forte indebitamento soprattutto con Francia e Inghilterra e mettere le mani sulle riserve borboniche rappresentava la salvezza per tutta la borghesia espansionistica piemontese e per gli affaristi internazionali. Le riserve auree del Regno delle Due Sicilie rappresentavano una vera e propria manna, senza contare la possibilità di nuove imposte sulle popolazioni dominate e le terre e i beni sottratti alle autorità ecclesiali. Nel Regno delle Due Sicilie la tassazione era, nel 1859, di 14 franchi a testa. Nel 1866, sotto il nuovo regime, le tasse erano salite fino a 28 franchi a testa, il doppio di quanto pagava l’“oppresso” popolo napoletano prima che Garibaldi venisse a liberarlo. Questo per mettere in evidenza, da parte di chi scrive, che briganti al sud non si nasceva, ma si diventava. Il sud divenne terra di briganti per reazione, per rivolta verso una borghesia e uno Stato troppo poco attenti alla fame del popolo e troppo concentrati, invece, a ingrassare le proprie pance. Anche Scalea conobbe il periodo del brigantaggio. Il personaggio che più di tutti ritorna alla mente è quello del maggiore Giuseppe Necco a cui è dedicata una via del nostro Comune. Tra le vicende degne di menzione che riguardano il Necco vi è certamente il sostegno dato ai contadini di Pedali, oggi frazione di Viggianello (PZ), nella rivolta al potere per sottrarre all'arresto un popolano, Francesco Palazzo, difensore della plebe immiserita e desiderosa di avere un capo che fosse in grado di difenderla contro gli egoisti e gli avidi padroni di terra. In tale occasione, i contadini di Viggianello, considerati ormai brigants, videro nel brigante calabrese la loro bandiera, l’unico che avrebbe potuto difenderli dagli attacchi del colonnello Grasson. Giuseppe Necco indicava nei ricchi “galantuomini” i nemici della povera gente. Il brigante e ufficiale di Scalea rivestì un importante ruolo negli scontri e nelle battaglie svoltesi nel periodo del brigantaggio da Maratea ad Amantea e negli innumerevoli combattimenti consumatisi da Lagonegro a Rivello, da Lauria a Trecchina, da Aieta a Orsomarso e fino a Paola. Fu durante l’assedio di Maratea che Necco si scontrò con Giovanni Lancellotti, personaggio natio dell’allora Cipollina, oggi Santa Maria del Cedro. Si racconta che il brigante scaleaoto fece cenere delle abitazioni del Lancellotti il quale, ritiratosi in Lucania, venne successivamente investito del governo di Orsomarso. Si dice che il Necco fosse figlio di un prete di Scalea, tal Biagio Rinaldi, anch’esso feroce brigante, di cui resta l’immagine di un sanguinario che combatteva con un crocefisso in una mano e la carabina con la canna intarsiata d’argento nell’altra. Oltre che essere ricordato per la difesa dei poveri contadini, però, il Necco riassume anche la figura di un feroce combattente. A tre suoi compaesani, che lo avevano denunciato ai francesi, fece tagliare la testa e, scarnificati i crani, giocò a bocce con questi dinanzi la Torre Talao. Si rese anche artefice di sequestri di persona, tra cui ricordiamo quello di un ricco proprietario terriero di Diamante, liberato soltanto dopo aver pagato un ingente riscatto. Bandito e capomassa entrò a far parte dell’esercito borbonico, giungendo al grado di colonnello e terminò i suoi anni a Napoli con una ricca pensione a carico dell’erario regio.
Francesco Fazzari

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